Don Peppo Corti – La luce della speranza
La luce della speranza
«I miseri e i poveri cercano acqua ma non ce n’è, la loro lingua è riarsa per la sete: io, il Signore, non li abbandonerò» (Is 41,17).
Il Natale ci fa guardare con occhi di fede e di gioia la nascita del Signore come fonte di salvezza. Dio viene a stare con noi e sappiamo che su di lui possiamo contare, anche se a volte le prove e le difficoltà della nostra vita ci abbattono e ci scoraggiano.
Quanti oggi si apprestano a vivere il Natale con profonda preoccupazione nel cuore e vivono una prova dura!
Per questo, insieme, preghiamo perché il Dio difensore dei deboli e dei dimenticati li aiuti a superare le difficoltà, affrontandole con serenità, solidarietà, fraternità e fiducia.
Non lasciamoci espropriare del Natale, di una festa che appartiene alla più importante e forte tradizione delle nostre famiglie e che, anche se celebrata in un momento carico di incognite, va comunque accolta come motivo di speranza e vissuta con gioia insieme con i nostri ragazzi, anziani, amici e tutta la comunità.
Anche a Gesù e alla sua famiglia non è stato risparmiato niente; non abbiamo, dunque, un Dio lontano, che non ci capisce e non ci comprende nelle nostre necessità, ma un Dio che le ha vissute in prima persona.
Per comprendere la trasformazione sociale che stiamo vivendo è necessario andarne alle radici e parlare di “crisi antropologica”. Una delle conseguenze più nefaste di questa crisi è il lento declino del sistema educativo, che viene trattato non come un investimento della collettività sulle giovani generazioni e sulle persone che arrivano da altri paesi, ma come un costo.
Questa trasformazione, che interessa anche la Chiesa, va vissuta talvolta con atti profetici e coraggiosi capaci di scuotere le coscienze.
Diventa quindi importante riconoscere la propria debolezza di fronte alla complessità, ma nel contempo anche la forza della nostra tradizione, della cultura del nostro territorio che ha nel lavoro un asse portante.
Oggi non possiamo più permetterci di pensare a compartimenti stagni (scuola – impresa – formazione – lavoro), ma dobbiamo aprirci ad una mentalità fortemente sinergica.
Certamente in queste istituzioni vi sono dei limiti: siamo esseri umani, caratterizzati dal limite creaturale, ma abbiamo l’intelligenza capace di trovare in maniera innovativa, strade nuove nei momenti più difficili.
Dobbiamo riscoprire insieme le dimensioni del rischio e del coraggio, ben fondati su valori umani condivisi da tutti, operando insieme per trovare importanti punti di congiunzione e per rendere la nostra società sempre più civile, fraterna e aperta al futuro per i nostri giovani.
Il nostro “sistema-Paese” ha bisogno che tutti i singoli comparti dialoghino e trovino il modo di pensare ad una nuova forma di welfare integrato: perché è in questo ambito che si gioca il futuro dei giovani e delle famiglie.
Il dialogo è la carità più grande che possiamo farci oggi, unitamente ad un ascolto vero.
I giovani vedono un mondo adulto che non dialoga veramente e lo sentono estraneo: e hanno ragione!
Quale speranza può provenire da un atteggiamento individualista e autoreferenziale?
Come comunità cristiana continuiamo a dire con forza che l’uomo non è per il lavoro, ma il lavoro è per l’uomo.
L’uomo è al centro della creazione e quindi di ogni nuova trasformazione sociale: senza questo presupposto le riforme hanno il fiato corto. Rimettere al centro l’uomo nella sua verità è il primo atto di giustizia.
Non è solo la disoccupazione a rendere vulnerabile la dignità della persona, lo è anche il lavoro cattivo: quello precario, quello mal retribuito, quello insicuro, quello inquinante e malsano quello non adeguato alle competenze e alle conoscenze acquisite, quello non adeguato per il sostegno della propria famiglia.
È necessario che torniamo a mettere l’etica come fondamento delle regole che guidano il mondo del lavoro e, prima ancora, dell’economia e della finanza.
La prima scelta etica è proprio quella di salvaguardare la centralità della persona che lavora, i suoi diritti e le sue concrete e reali tutele personali e familiari. È infatti sotto gli occhi di tutti, che dove prevale solo la logica del mercato globalizzato e del profitto, reso fine assoluto di ogni scelta economica ignorando la ben che minima regola morale, prima o poi il sistema stesso si ritorce contro l’uomo e lo conduce ad una inevitabile rovina.
A questo va aggiunta la necessità di un’etica della comunione, che si apra al dialogo, all’incontro e alla collaborazione costruttiva tra tutte le componenti del mondo del lavoro. Quello che preoccupa di più è il venir meno dell’impegno ad essere attenti e disponibili agli altri nel quotidiano della vita, l’indifferenza per coloro che affrontano situazioni molto faticose sul piano umano, familiare e sociale.
Ognuno vuole difendere i suoi spazi ed i suoi privilegi per il timore di doversi contaminare con gli altri; e se lo fa è solo per trarne eventuali vantaggi. Prevale la logica dell’individualismo, che riafferma gli interessi di parte e produce divisioni a volte insanabili.
Il Bambino di Betlemme viene per abbattere questi muri di indifferenza e per dirci che solo nell’incontro solidale e gratuito si crea un mondo di pace e di giustizia per tutti.
Solo se ogni “mondo” personale, o di realtà familiare, o sociale, si apre all’altro e si fa carico dell’altro realizza il profitto più grande per se stesso.
L’augurio è che non ci abituiamo alle continue notizie di aziende che chiudono o di imprenditori che si nascondono di fronte alle difficoltà e di lavoratori che entrano nel tunnel della cassa integrazione, anticamera per tanti di mobilità e licenziamento.
Non lasciamo sole queste persone e famiglie, ma promuoviamo una rete di solidarietà, di maggior impegno comune per la giustizia e per quella gratuità che aiuta a vivere i problemi altrui come propri, in spirito di vera comunione e fraternità.
Il sistema è malato: come comunità ecclesiale, insieme con tutti voi, sentiamo la responsabilità di dare testimonianza di solidarietà, ma anche di coraggio, nelle scelte sia individuali e familiari (stili di vita), sia in quelle che ci rendono parte responsabile della società civile.
Dobbiamo far conoscere le buone pratiche già presenti anche nell’ambito del lavoro e della formazione. In particolare negli ambiti dell’accompagnamento nella creazione di lavoro, nella creazione di luoghi dove possa essere sperimentata la sinergia fra aziende diverse (co-working), specialmente guidate da giovani, nella creazione di nuovi legami tra scuola, università e mondo del lavoro …
Quello che stiamo per celebrare vuole essere un Natale diverso dagli altri; è un Natale difficile, ma sempre ricco di speranza, perché il Figlio di Dio è con noi e la sua venuta non deve essere per noi un evento abituale, ma una venuta sempre nuova e portatrice di salvezza e di speranza per ogni uomo di buona volontà.
«Non temere, io ti vengo in aiuto» (Is 41,13): sì, crediamo che, nonostante le difficoltà e le prove che siamo chiamati ad affrontare, l’aiuto del Signore è certo perché lui è con noi, ci ama, ci protegge e ci assicura il suo Spirito per guardare al futuro con speranza, la “sua Speranza”.