Le parole di Don Antonio Mastantuono per la riflessione Pasquale
Pasqua 2025
«C’è una Pasqua maggiore. E c’è un Pasqua minore» – scriveva così don Angelo Casati in un libro pubblicato vent’anni fa.
La prima è raccontata nelle chiese nella liturgia della Veglia pasquale: «un racconto (che) conosce gli incespicamenti dell’emozione, la sospensione delle parole che sono sempre povere a dire ciò che è accaduto: nel giardino dell’Eden, sul monte Moria, quando un angelo fermò la mano di Abramo sul punto di sacrificare il figlio, nelle acque stupite del mar Rosso, nella tomba oscura del Crocifisso».
C’è una Pasqua minore: «meno solenne, ma non per questo meno vera. È quella che vive delle nostre emozioni, delle nostre speranze e dei nostri desideri dentro la storia quotidiana di ciascuno di noi» (A.Casati, Il sorriso di Dio. Alla ricerca della bellezza e della libertà dell’uomo, Milano 2014, 29-32).
Per la Pasqua «che vive delle nostre speranze» i miei auguri.
Viviamo in un Paese che – come segnala il Rapporto Censis del 2024 – vive della “sindrome italiana” che è «la continuità nella medietà, in cui restiamo intrappolati. Il Paese si muove intorno a una linea di galleggiamento, senza incorrere in capitomboli rovinosi nelle fasi recessive e senza compiere scalate eroiche nei cicli positivi. […]. Ci flettiamo come legni storti e ci rialziamo dopo ogni inciampo, senza ammutinamenti. Dopo un così lungo tempo trascorso nell’attesa, bisogna prendersi il rischio di andare oltre».
In un tempo di rassegnazione e di stanchezza, quando sempre più invadente è un clima di rassegnazione e di sfiducia; quando l’invito che cogli nell’aria è «a lasciar perdere» giunge l’invito del profeta Geremia che – in tempo in cui Gerusalemme stava per essere conquistata da Nabucodonosor – invita a comprare campi e case (Cfr. Ger.cap.32). In una parola sfidare, forti della promessa di Dio, il futuro.
A questo brano di Geremia faceva riferimento il pastore Dietrich Bonhoeffer – rinchiuso nel carcere di Tegel, a motivo della sua opposizione al nazismo – in una lettera (12.08.1943) alla sua fidanzata Maria von Wedemeyer: «Geremia, nel grave pericolo del suo popolo, dice che “in questo paese si devono ancora comprare case e campi” segno della fiducia nel futuro. Per questo ci vuole fede; che Dio ce la doni ogni giorno. Non intendo la fede che fugge dal mondo, ma quella che resiste nel mondo e ama e resta fedele alla terra malgrado tutte le tribolazioni che essa ci procura».
Alla speranza ci invita il motto dell’anno giubilare che stiamo vivendo Pregrinantes in spem. «Il prossimo Giubileo – scrive papa Francesco nella Bolla di indizione – sarà un Anno Santo caratterizzato dalla speranza che non tramonta, quella in Dio. Ci aiuti pure a ritrovare la fiducia necessaria, nella Chiesa come nella società, nelle relazioni interpersonali, nei rapporti internazionali, nella promozione della dignità di ogni persona e nel rispetto del creato. La testimonianza credente possa essere nel mondo lievito di genuina speranza, annuncio di cieli nuovi e terra nuova (cfr. 2Pt 3,13), dove abitare nella giustizia e nella concordia tra i popoli, protesi verso il compimento della promessa del Signore».
Viviamo la prossima Pasqua come il luogo della ricostruzione della speranza, luogo della promessa, che non viene meno, anche quando tutto sembra gridare solitudine e desolazione.
Non hanno certo futuro le nostre chiusure mentali, le nostre ambizioni, le nostre ipocrisie, le nostre superficialità.
Ha futuro ciò che conforta la speranza, ciò che fa trasalire il cuore, ciò che avvicina a Dio, alla verità e alla giustizia, ciò che rende trasparenti e liberi, ciò che apre gli occhi e il cuore.
Auguri.
don Antonio