La BCE e l’abbandono delle politiche monetarie non convenzionali.A cura di Giovanni Scanagatta
La BCE e l’abbandono delle politiche monetarie non convenzionali
Giovanni Scanagatta*
Le recenti riduzioni dei tassi di interesse da parte della Banca Centrale Europea (BCE) e della Federal reserve americana (FED) mettono in evidenza due modi diversi di fare politica monetaria. La più contenuta riduzione dei tassi da parte della BCE (0,25) rispetto alla FED (0,50) conferma la diversa attenzione delle due banche centrali al sostegno alla crescita e alla lotta all’inflazione. L’economia europea sta attraversando un periodo di preoccupante stagnazione, a partire dalla locomotiva europea che è rappresentata dalla Germania. Ci si aspettava per questo una riduzione più consistente dei tassi di interesse da parte della BCE per favorire la crescita e l’occupazione.
La politica monetaria della BCE conferma poi un altro fondamentale aspetto. Si tratta dell’abbandono delle politiche monetarie non convenzionali inaugurate nell’era Draghi e di una diversa politica monetaria da parte della presidente Lagarde.
Come si ricorderà, le politiche monetarie non convenzionali presentano tre caratteristiche fondamentali: a) l’acquisto praticamente illimitato sul mercato di titoli del debito pubblico e del debito privato, con grande creazione di liquidità, per fronteggiare la crisi dei debiti sovrani e dell’euro; b) la forte riduzione dei tassi di interesse di politica monetaria fino a renderli negativi; c) la politica degli annunci per orientare il mercato in una visione di più lungo periodo. Tutto questo sta venendo progressivamente meno, anche se occorre riconoscere che si è passati con la presidenza Draghi da una situazione di deflazione a una di improvvisa inflazione con la presidenza Lagarde che richiedeva naturalmente il rialzo dei tassi di interesse come è avvenuto in maniera continua e repentina. Si riduce progressivamente l’acquisto di titoli sul mercato da parte della BCE e anche la politica degli annunci al mercato è completamente sparita prendendo le decisioni di volta in volta in relazione ai nuovi dati disponibili.
E’ utile scendere in modo più puntuale sui dati per evidenziare il progressivo abbandono delle politiche monetarie non convenzionali da parte della BCE.
Fin poco prima dello scoppio della crisi dei debiti sovrani nel 2011, la presidenza Trichet aveva condotto una politica di tassi di interesse crescenti, in linea con quella della FED ma in modo più accentuato. Con l’arrivo di Draghi la politica monetaria si inverte totalmente e inizia un periodo di continua riduzione dei tassi di interesse fino al 2020 per fronteggiare la crisi dei debiti sovrani, dell’euro e la deflazione. Si ricorda che non si riusciva, nonostante tutti gli sforzi con grandi immissioni di liquidità, a raggiungere il target di inflazione della BCE del 2%. La FED è andata in controtendenza, per quanto riguarda i tassi di interesse, rispetto alla BCE fino al 2015, dopo di che inizia una riduzione che porta all’allineamento verso la fine del 2021 con una differenza di 0,25 punti percentuali. Nel 2015 si raggiunge la differenza massima di circa 1,5 punti percentuali a favore della FED. Dopo di che inizia la discesa dei tassi di interesse della FED che però non raggiungono mai valori negativi come nel caso della BCE.
Nel 2020 compaiono i primi segnali di ripresa dell’inflazione che raggiunge una punta di quasi il 10% nel 2022 per discendere intorno al 5% nel 2023. Le due banche centrali hanno reagito con grande rapidità all’impennata dell’inflazione con una decina di rialzi continui dei tassi di interesse in poco tempo. Nel mese di marzo del 2024 si raggiunge il culmine dei tassi di interesse di policy con la FED al 5,50% e la BCE al 4,50%, partendo quest’ultima da tassi d’interesse nulli o addirittura negativi. Nella seconda parte del 2024 inizia la discesa dei tassi di interesse delle due banche centrali in corrispondenza alla contrazione dei tassi di inflazione che si avvicinano al target del 2%. Arriviamo quindi al mese di settembre in cui la BCE abbassa per prima i tassi di 0,25 e poi la FED di 0,50, con una discesa al 4 e al 5% rispettivamente.
Le decisioni di settembre della BCE e della FED indicano, come accennato, le diverse preferenze delle due banche centrali: quella europea che privilegia la lotta all’inflazione; la banca centrale americana che privilegia il sostegno alla crescita e all’occupazione.
L’ultima decisione della BCE lascia naturalmente perplessi, come è sottolineato da diversi osservatori, tenuto conto che l’economia dell’Unione europea sta attraversando un periodo di stagnazione, con in testa la Germania che rappresenta la locomotiva dell’Europa. Non possono mancare i riflessi negativi sul piano industriale a danno dell’Italia, per la stretta integrazione tra l’economia tedesca e l’economia italiana.
In definitiva, la politica monetaria della BCE negli ultimi anni mostra che si sta assistendo ad un progressivo abbandono delle politiche monetarie non convenzionali che avevano caratterizzato il periodo della presidenza Draghi.
*Professore di politica economica e monetaria all’Università di Roma “La Sapienza”