Relazione della serata del 30 gennaio 2019 – relatore Fra Giovanni Rinaldi
La fede vive anche con la democrazia e la libertà
UCID – Busto Arsizio, 30 gennaio 2019
Giovanni Rinaldi, OFM
Premessa
Ho accettato l’invito a condividere con voi questo momento di condivisione solo a motivo dell’insistenza di Fabrizio, che ringrazio per la stima e l’amicizia. Ringrazio il Presidente dell’UCID, sen. Paolo Caccia, tutti i membri, il Presidente e gli amici dei Lyons e tutti voi qui presenti: grazie per la fiducia che mi state dimostrando. Permettetemi di dire fin da subito che non mi sento molto a mio agio a dovervi parlare di “democrazia e libertà”: non sono un esperto di Dottrina sociale della Chiesa. Sono un frate francescano, sacerdote e appassionato di linguistica. L’obbedienza mi ha condotto a vivere diverse esperienze – dall’insegnamento della religione alla cura pastorale delle anime (la migliore esperienza finora! Forse anche a motivo della gente “che avevo in cura””!), dall’animazione di una fraternità all’assistenza personale del nostro Superiore (Ministro) generale, fino al servizio che sto svolgendo da un paio d’anni, ossia Segretario generale e Notaio dell’Ordine dei Frati Minori (chiedo venia ad eventuali Notai qui presenti!). Ma la mia costante passione sono le lingue straniere e da qualche mese ho iniziato a studiare arabo, che si sta rivelando un’appassionante scoperta. Vi ho detto questo perché, certo, credo di essere un comunicativo, uno a cui piace comunicare, ma di certo non sono specificamente “titolato” a tenere la conferenza di stasera. Però, in nome dell’amicizia e della fiducia, provo a comunicare con voi in merito all’argomento che mi è stato affidato.
- Partiamo da una domanda
Partirei trasformando in quesito il titolo di questo contributo: la fede può vivere con la democrazia e la libertà? Da questa domanda, ne scaturisce una previa: democrazia e libertà possono convivere? Se sì, come possono convivere? E, ancora, come di fatto democrazia e libertà convivono?
- Alcune sfide
Molti studiosi affermano che attualmente stiamo vivendo non tanto “un’epoca di cambiamento bensì un cambiamento d’epoca. Le relazioni tra uomo e donna e tra genitori e figli sono cambiate e le istituzioni e i ruoli patriarcali sono saltati ed è inevitabile trovarsi in situazioni di confusione e di disorientamento” (Claudio GENTILI, Il rischio della libertà dal ’68 a oggi, in La Società. Rivista scientifica di Dottrina Sociale della Chiesa, XXVI, 3/2018, p. 13). Nel mondo si stanno attestando nuovi equilibri economici; nuovi soggetti politici significativi si affacciano sulla scena globale e questo nostro mondo, sempre più interconnesso, è sempre meno “eurocentrico”. La globalizzazione ha generato nuove modalità di comunicazione e nuovi modi di collegamento, ma ha anche favorito al contempo la concentrazione del potere finanziario nelle mani di pochi. Il mondo che si sta costruendo rischia di trasformarsi in una trappola senza vie di scampo per i più deboli e i più poveri, perché è un mondo sovrastato da implacabili dinamismi che stringono le maglie della libertà e riducono le opportunità (cfr. S.E. Mons. Mario TOSO, Democrazia e libertà, in La Società. Rivista scientifica di Dottrina Sociale della Chiesa, XXVI, 3/2018, p. 24).
Purtroppo, assistiamo (anche, ma non solo) a gesti di violenza efferata, cieca e vile quali gli attentati contro cittadini ignari in diverse parti del mondo (non solo in Europa), attentati alla libertà della persona.
La libertà è sottratta ai disperati che si vedono costretti a lasciare le loro terre di origine e a migrare inseguendo il sogno di una “terra promessa” e di un mondo più giusto e pacifico (in Uganda ci sono 35 mln di abitanti e 9 mln di rifugiati).
Vengono defraudati della loro libertà coloro che periscono quali vittime di tratte umane e di conflitti sanguinosi (Papa Francesco parla di una Terza Guerra Mondiale a pezzi) e pure coloro ai quali non è concesso di venire al mondo o di rimanerci.
Sovente la libertà è messa in discussione sul piano religioso; episodi di libertà coartata si verificano sul piano politico allorché si stabiliscono prassi o si emanano leggi che restringono la possibilità di scelta dei propri rappresentanti.
Ancora, la rivendicazione dei diritti personali in nome di un individualismo libertario si rivela come il peggior nemico dello Stato di diritto e del bene comune.
La libertà, insomma, è messa in crisi su tutti i piani e in tutte le dimensioni dell’umanità. E quando la libertà è minacciata o sminuita, ne soffre anche la democrazia: questa, infatti, non può sussistere senza la presenza di persone libere.
Ma noi non dobbiamo, non possiamo e non vogliamo fermarci a questo scenario.
- Libertà e democrazia
Riconosciamo, infatti, che ogni persona è inabitata da un insopprimibile desiderio di vero e di bene (e per noi cristiani, in particolare noi francescani, questo bene è il Bene con la B maiuscola, ossia Dio, colui che san Francesco d’Assisi chiamava “sommo e unico bene”, ma per il momento lasciamo perdere – almeno in linea teorica – la fede); un desiderio di vero e di bene indisgiungibile dalla vocazione alla libertà.
Non solo: la nostra vita, lo sappiamo anche per esperienza, non è un’esistenza fine a sé stessa: la nostra vita si compie nella misura in cui diventa relazione, fiorisce e si realizza mediante il dono di sé, nel prendersi cura dell’altro e del bene comune.
Ancora, sappiamo che la libertà non è soltanto spezzare le proprie catene (libertà da, libertà negativa) ma è anche vivere in modo da rispettare e accrescere la libertà altrui (libertà per – libertà propositiva; cf. M. MAGATTI- C. GIACCARDI, Generativi di tutto il mondo unitevi! Manifesto per la società dei liberi, Feltrinelli, Milano 20165, p. 30).
E tale libertà, di cui ogni persona gode ed è dotata, è il punto di partenza e di arrivo della democrazia.
La cultura cristiana e, nello specifico, la Dottrina sociale della Chiesa (DSC) si fonda su questa possibile, anzi, necessaria convivenza tra libertà e democrazia. E, di conseguenza, cerca e vuole offrire alla democrazia, come fondamento stabile, coscienze capaci di ricercare il vero e il bene, ciò che san Tommaso d’Aquino definisce visio beatifica, il Sommo Bene di cui parla san Francesco d’Assisi.
- La Dottrina sociale della Chiesa
Verso la fine del secolo XIX, Leone XIII affermava che la concezione di libertà disancorata dal riferimento a Dio e ai valori assoluti ha la consistenza delle sabbie mobili, su cui non si può fondare alcuna morale né si può costruire una prospera e pacifica convivenza civile. Un’esagerata esaltazione della libertà, nutrita di agnosticismo liberale, apre le porte al soggettivismo e all’individualismo etico sul piano personale, oltre che, in campo sociale, all’assolutismo del potere e dell’anarchismo.
San Giovanni Paolo II, un secolo dopo Leone XIII, muove da una prospettiva culturale più personalista e afferma che, per rifondare le democrazie contemporanee e superare la cultura consumistica, occorre disporre di una libertà capace di legarsi alla verità su Dio e sull’uomo. La democrazia va radicata su un impianto di antropologia personalista e comunitaria, che supera la concezione individualistica di libertà. Il popolo e la democrazia nell’ottica della DSC sono entità che sprigionano da libertà responsabili e solidali: libertà nell’ordine morale e, pertanto, libertà che non contraddicono, anzi, che perseguono e sono ministeriali all’uguaglianza di dignità e di opportunità, al bene comune e alla giustizia sociale.
Quando la democrazia si svincola dall’idea di una libertà positiva (la libertà “per”), tutti i valori sono messi in discussione. Si salva solo la libertà di scelta, che viene assolutizzata fino a diventare libertà di potenza e di dominio, che in piena autonomia si abilita a creare la verità e il bene, che dispone incondizionatamente della propria e dell’altrui esistenza e che dissocia la sessualità dall’identità delle persone. Una società democratica in cui i cittadini vivono la loro libertà di scelta senz’altra restrizione che quella di non importunare il vicino rischia di trasformarsi in un regime illiberale e ingiusto, in cui il primato del bene comune e della giustizia si dissolve.
Certo è che l’ideale della democrazia è e resta strettamente connesso alla parte migliore di ogni individuo. È un ideale che si propone quasi come una sfida della persona a sé stessa. Pertanto, rinunciare all’ideale della democrazia significherebbe abbandonare la vocazione al compimento di sé stessi.
È una conquista dei secoli scorsi il convincimento secondo cui la promozione della persona umana è inscindibile dallo sviluppo della democrazia, intesa in primis come continua costruzione di senso e di forma di vita sociale e politica mediante il concorso di tutti.
La crisi che oggi la democrazia conosce non è solo strutturale ma è soprattutto morale: è una crisi di valori. Di qui, allora, la necessità di recuperare i valori morali, a livello sia personale che sociale: alla stagione dei diritti deve affiancarsi quella dei doveri. Non basta riformare le regole del gioco, magari condendole con un po’ di populismo. No: siamo chiamati a creare una società politica basata sulla comunione, da intendersi innanzitutto come comunicazione e condivisione di conoscenze nella luce del vero; come impulso e richiamo al bene morale; come nobile godimento del bello in tutte le sue legittime espressioni; come permanente disposizione a profondere gli uni negli altri il meglio di sé stessi; come anelito ad una mutua e sempre più ricca assimilazione ai valori spirituali, intesi in senso ampio.
Fin qui, se va bene, siete più o meno d’accordo con me su questa visione generale. Ma… la realtà è tutt’altro, qualcuno potrebbe obiettare. Abbiamo già accennato alle sfide contemporanee… Se mi guardo intorno, rischio la depressione!
E allora… COME? Come far convivere libertà e democrazia e, per noi cristiani, libertà, democrazia e fede? Beh, non esiste una ricetta! Ma continuiamo fiduciosi il cammino di ricerca.
- Fede, libertà e democrazia
Papa Francesco, nella lettera Humana communitas (Roma, 6 gennaio 2019) per il XXV anniversario della Pontificia Accademia per la Vita, che ricorrerà il prossimo 11 febbraio, sembra proporre (o ri-proporre!) l’idea e la forza della fraternità (intuizione non esclusivamente ma tipicamente francescana, o meglio: sanfrancescana). Il Santo Padre sostiene che, essendo la comunità umana il sogno eterno di Dio nella quale il Figlio eterno generato da Dio ha preso carne e sangue, è proprio nel mistero della generazione che “la grande famiglia umana può ritrovare sé stessa. Infatti, l’iniziazione familiare alla fraternità tra le creature umane può essere considerata un vero e proprio tesoro nascosto, in vista del riassetto comunitario delle politiche sociali e dei diritti umani, di cui oggi si sente forte necessità. È tempo di rilanciare una nuova visione per un umanesimo fraterno e solidale dei singoli e dei popoli […] La forza della fraternità è la nuova frontiera del cristianesimo” (HC 1.6.13).
Già nel discorso Urbi et orbi dello scorso 25 dicembre il Santo Padre parlava di fraternità, affermando: “Che cosa ci dice quel Bambino, nato per noi dalla Vergine Maria? Qual è il messaggio universale del Natale? Ci dice che Dio è Padre buono e noi siamo tutti fratelli. Questa verità sta alla base della visione cristiana dell’umanità. Senza la fraternità che Gesù Cristo ci ha donato, i nostri sforzi per un mondo più giusto hanno il fiato corto, e anche i migliori progetti rischiano di diventare strutture senz’anima”.
Papa Francesco ci propone al contempo una diagnosi e la cura: da una parte rileva il difetto di fraternità, lo sfilacciamento del legame che apparenta tutti i figli e le figlie di Adamo; dall’altra propone come rimedio la fraternità stessa, scintilla capace di far divampare il fuoco di relazioni giuste, sane, solide in famiglia, nella polis e tra i popoli.
Però, dobbiamo prendere atto, come fa notare il teologo Giovanni Cesare Pagazzi commentando il brano biblico del capitolo quarto del Libro della genesi, che anche la Bibbia descrive il legame fraterno come il più impegnativo e complicato. Ricordiamo anche l’intricata vicenda di Giuseppe venduto (in Egitto) dai suoi fratelli. Non solo la Bibbia ma forse anche l’esperienza personale ci può confermare la laboriosità e la delicatezza del rapporto fraterno.
E non possiamo eludere l’aspetto intrinsecamente drammatico della fraternità: dobbiamo necessariamente viverlo, attraversarlo. Questo ci consentirà di cogliere quanto è davvero in gioco.
Prendiamo l’episodio del fratricidio narrato agli inizi della Scrittura. Il racconto di Genesi 4 così raffinato da penetrare fino al punto di divisione delle giunture e delle midolla del legame fraterno ci dice che la fraternità entra in crisi non per un capriccio, per generico egoismo, per invidia o a motivo dell’ingiustizia. Tutte queste cose sono effetti, non la causa. Perché Caino uccide Abele? Per paura.
Già la paura si è impossessata di Adamo ed Eva, che, dopo il peccato, corrono a nascondersi: «Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo e mi sono nascosto» (Genesi 3,10). La paura spinge la coppia dei progenitori a nascondersi e spinge Adamo ad aggredire Dio ed Eva, perché si fa in fretta a capire che la miglior difesa è l’attacco.
Sebbene in ordine inverso, Caino prova i medesimi sintomi: prima l’aggressività fino alla violenza, poi il bisogno di nascondersi (Genesi 4, 14); e questi sono segnali rivelatori della sua radicale paura. Di che cosa ha paura Caino? Egli è talmente sedotto dalla predilezione divina per Abele (solo da Abele Dio accetta il sacrificio) da non vedere un altro elemento altrettanto essenziale.
Caino, che rappresenta ciascuno di noi, si lascia dominare dalla paura che l’altro lo privi di qualcosa, fondamentalmente dell’amore, della stima, dell’affetto di Dio; Caino ha paura che l’altro, Abele, sia il nemico capace di distruggere la sua felicità. La paura, che è l’esatto contrario dell’amore; l’indifferenza più che l’odio è il contrario dell’amore ad extra, nel rapporto verso gli altri; la paura è il contrario dell’amore ad intra: verso noi stessi.
Alla radice della paura di Caino, di ogni nostra paura, c’è la diffidenza e la sfiducia nella grandezza dell’Amore di Dio. La paura diventa la vera tentazione che mina la fede. E, sgretolandosi la fiducia in Dio, il dono della libertà viene meno e, di conseguenza, anche la democrazia soffre.
Caino, dicevo poc’anzi, è talmente sedotto dalla predilezione divina per Abele da non vedere un elemento essenziale: è solo a lui che Dio parla. La pagina biblica rivela una duplice predilezione divina: una per Abele, il solo capace di offrire un sacrificio gradito a Dio; e un’altra riservata a Caino, il solo a cui Dio accorda un’incomprensibile premura, fatta di parole di richiamo, di incoraggiamento, di consigli, di domande, di accuse, di castighi minacciati e, infine, di sollecita custodia della sua vita, nonostante tutto.
Dio dedica tempo a Caino, mentre ad Abele non rivolge nemmeno una parola! Ma Caino questo non lo nota, non lo vede. Se “invidia” (in-videre) significa “non-vedere”, “non-voler-vedere”, “vedere male”, “vedere di malocchio”, si può dire che in Caino essa è ritorta contro sé stesso prima che verso Abele. Caino percepisce, vede benissimo la predilezione riservata al fratello, ma non coglie la propria. Da qui il senso di essere escluso, privato di quanto è vitale. Il terrore che lo tormenta scaturisce dal fatto che non ci sia posto per due: «Se Abele è prediletto, significa che io sono escluso». Egli non vede il posto unico riservato ad entrambi: “invidia”, vede male, e ritiene che ci sia solo un unico posto per tutti e due (invidia l’unico posto). Ma è proprio questo pensiero che scopre la radice profonda della paura di Caino: considerare Dio inadeguato, insufficiente, incapace di mettere al sicuro tutta la vita di cui è origine. Cos’è questa se non mancanza di fede? Caino pensa (erroneamente) che al massimo Dio può garantire una sola scialuppa di salvataggio e, per giunta, monoposto. E allora tutti gli altri naufraghi, coi quali ci si trova “nella stessa barca”, non sono più fratelli ma rivali. Da eliminare. E questa rivalità omicida, che affiora con chiarezza nel rapporto fraterno, non è in prima battuta un deficit di carità o di giustizia: è innanzitutto una mancanza di fede. Caino crede che Dio ci sia ma la paura, che distorce la realtà, gli impedisce di fidarsi della competenza, della potenza divina. Insomma: Dio c’è, ma non può. [L’impotenza e l’incompetenza di Dio spingono il primogenito di Adamo all’urgente dovere di cavarsela da solo, occupando quello che lui ritiene (erroneamente) l’unico posto vitale a disposizione, anche a costo della morte del fratello: mors tua vita mea].
E la portata vera della fraternità la si coglie solo toccando il fondo della paura circa l’incompetenza e l’insufficienza di Dio (e il terribile senso di solitudine derivante). Le dinamiche più nascoste dell’anima le cogliamo toccando il fondo (l’esperienza di Caino).
Quella che cogliamo come rivalità tra fratellini, tra colleghi, tra popoli, culture, nazioni ed economie scaturisce dalla negazione della potenza dell’Origine: la mamma, il papà, la terra, Dio stesso sono ritenuti incapaci di garantire un posto vitale a ciascuno. La violenta ingiustizia ha come radice profonda l’incredulità, non tanto nell’esistenza di Dio ma nella sua potenza, cioè nella sua capacità di custodirci e di nutrirci. [A dirla tutta, non esiste peccato che non sia risultato dell’incredulità nella potenza di Dio: avaro diventa chi nega il potere divino di assicurare il pane quotidiano; vendicativo è colui che non crede Dio possa prendere le sue difese].
Gesù «non si è vergognato di chiamarci fratelli» (Lettera agli ebrei 2,11), divenendo il Primogenito di ogni creatura, non a motivo di chissà quale generica bontà, ma per la fiducia riposta nel Padre a cui «tutto è possibile» (Marco 10,27; 14,36), la fiducia nell’onnipotenza di Dio. Dio è onnipotente perché è capace di assicurare un posto unico a Caino, un posto unico ad Abele, un posto unico a ciascuna persona, un posto unico a ciascun essere vivente e posto unico a ogni popolo.
Gesù arriva a tale affidamento non in via astratta ma attraverso una quotidiana, ordinaria, e affettuosa sensibilità al mondo. Gesù, entrando nel mondo, lo vede e lo tocca com’è veramente, non come la paura lo deforma (Francesco, Laudato si’, 97) e ce lo mostra. A chi è preoccupato (cioè impaurito) per l’eventuale insufficienza di cibo, di acqua e di vestiti, Gesù suggerisce, per vincere la paura, la strategia di “guardare gli uccelli del cielo” (nessuno di essi muore di fame) e di “osservare i gigli del campo” (vestiti di alta sartoria). Il Padre è così ricco, potente, abile e competente da permettersi il lusso di interessarsi a rondini e margherite (Matteo 6,25-34). Il senso dell’affidabile competenza di Dio disarma la rivalità, rendendola vana. Il mondo, la nostra casa comune, non è un angusto monolocale con un posto solo, ma la profezia della “casa del Padre” dove c’è ampio posto per tutti (Giovanni 14,1-4).
Cristo ha vissuto da fratello e ha voluto il legame fraterno per i propri discepoli per due motivi:
- primo: annunciare, proclamare la buona notizia del posto unico che il Padre Creatore riserva a ciascuno nel suo Amore – questo è il motivo ad extra, potremmo dire;
- secondo, la ragione ad intra, a favore della stessa Chiesa e di ogni credente: ponendoci nel legame indissolubile e difficile della fraternità, legame pieno d’affetto e fomentatore di rivalità, siamo messi in condizione di verificare con schiettezza la qualità reale della nostra fede nella competenza di Dio a favore della vita. Infatti, la fraternità compiuta trasforma in carne e sangue la fiducia piena in colui che è così longanime (ha l’animo così ampio) da poter prediligere insieme Abele e Caino.
San Francesco d’Assisi ha colto questo duplice mandato e lo ha affidato ai suoi frati, quando nella Regola ordina a mo’ di interrogativo: “Se la madre nutre e ama il suo figlio carnale, quanto più premurosamente uno deve amare e nutrire il suo fratello spirituale?”
Un Dio capace di amare singolarmente ciascun essere vivente con amore di predilezione è affidabile e a tal punto onni-potente da avere una riserva inimmaginabile di soluzioni… anche per l’attuale crisi di democrazia e di libertà.
Grazie dell’ascolto e dell’attenzione.
Fra Giovanni Rinaldi