22 Aprile 2015 – La centralità dell’uomo nelle strutture ospedaliere – perciò non solo bilanci – curare e farsi curare
Relazione a cura del dr. Luca Malfanti Colombo
Il giorno 22 aprile u.s., presso il noto ristorante “Idea Verde” di Olgiate Olona, è stato organizzato dalla Sezione Bustese dell’Associazione UCID un incontro dal seguente oggetto: “La centralità dell’uomo nelle strutture ospedaliere – perciò non solo bilanci – curare e farsi curare”.
Il meeting ha previsto in particolare l’intervento di due relatori d’eccellenza: il dott. Dott. Armando Marco Gozzini, attuale Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliera – Ospedale di Circolo di Busto Arsizio, e Don Michele Aramini, docente di bioetica e consulente dell’Università LIUC di Castellanza.
Il Dott. Gozzini, nello specifico, ha aperto l’incontro affrontando il tema della Sanità da un punto di vista storico – giuridico. Ovvero, partendo dagli albori del Sistema Sanitario Nazionale, il menzionato relatore ha svolto una rapida carrellata sulle strutture – tanto pubbliche quanto private – di cui questo si compone, tracciando altresì una linea ben definita sui principi giuridico – morali posti a cardine del “piano sanitario nazionale”.
Un improvviso malore però, fortunatamente scevro di gravi conseguenze, non ha consentito al dott. Gozzini la prosecuzione della propria interessante dissertazione. La serata è stata così amabilmente condotta dal secondo relatore convocato: Don Michele Aramini. Quest’ultimo ha affrontato l’argomento “Sanità” scindendolo in un duplice ordine di tematiche: I) il rapporto tra medicina e uomo contemporaneo; II) l’umanizzazione della medicina.
Il primo tema in particolare poggia sul problema della determinazione della modalità nonché della tipologia di avvicinamento del paziente alla realtà medica. Partendo quindi dalla concezione più arcaica – e ormai abbandonata – dell’<<ospedale quale albergo di lusso>>, Don Aramini ha tentato di spiegare agli astanti come l’attuale rapporto medico – paziente si basi in realtà su un duplice concetto, ovvero quello di “alleanza terapeutica” e di “recupero della propria libertà”. Da un modello paternalistico della medicina (medico = dominus del paziente) si è quindi passati – grazie al suddetto binomio – ad una realtà di dialogo tra dottore e malato. Una realtà caratterizzata non solo dall’intercorrere di un rapporto fiduciario tra i due soggetti ma anche dalla rivendicazione – da parte del paziente – della gestione della propria salute. Una realtà questa che – come ha ben illustrato il citato relatore – risulta comunque presentare ancora oggi dei punti oscuri necessariamente da superare. Ad es. l’impossibilità concreta, a volte, per i malati – causa la iper-specializzazione della medicina contemporanea (= una medicina sempre più tecnica e di difficile comprensione per l’uomo qualunque) – di capire come effettivamente poter gestire la propria malattia. Una difficoltà, questa, aggravata oltretutto dal poco tempo che a volte il corpo medico dedica all’ascolto dei propri pazienti. Un tempo che – secondo Don Aramini – deve essere invece necessariamente recuperato. Il tutto per evitare che venga abbandonato proprio quel rapporto fiduciario che – come detto – oggi più che mai caratterizza e deve continuare a caratterizzare il binomio medico – paziente.
Circa il secondo tema trattato da Don Aramini (“l’umanizzazione della medicina”), esso concerne invece l’aspetto interiore al paziente. Ovvero, si tratta del come quest’ultimo vive la propria malattia nonché dell’incidenza (positiva piuttosto che negativa) sul paziente di coloro che – amici e/o parenti – lo accompagnano nel proprio cammino di sofferenza. Don Aramini ha sotto questo profilo illustrato in particolare come l’ammalato viva in una situazione di “quasi sospensione della propria esistenza”. E cioè in uno stato di “quasi perenne” attesa dell’esito della propria diagnosi seguito dalla speranza di una fattiva efficacia delle cure sulla propria malattia. Efficacia che, in caso di verificazione, porta il malato ad archiviare completamente la sua esperienza di sofferenza, tanto interiore quanto esteriore, come un qualcosa di ultroneo da sé mentre, in caso negativo, lo porta all’immediata considerazione dell’idea della morte seguita da quella di aver vissuto una vita priva di senso. Per superare questo stato di prostrazione psico – fisica, l’unica soluzione per Don Aramini è che il paziente si aggrappi alla fede, recuperando così il “significato del tempo”. Con tale espressione il citato relatore intende di preciso indicare che per il malato ogni giorno deve avere una pienezza di significato. Il paziente deve cioè mantenere sempre – anche durante lo stato di malattia – la propria identità. E tale identità può essere mantenuta solo attraverso la preghiera. E quindi solo mediante un rapporto intimo con il Signore, che “costringe” il malato ad una necessaria indagine introspettiva. Un’indagine che (appunto grazie alla fede) non può che portarlo ad una positiva conclusione circa un bilancio della propria esistenza. Un’esistenza che, pur quanto da malato, risulta pur sempre degna di essere vissuta.
L’incontro si è quindi avviato a conclusione tra le numerose domande rivolte da parte del pubblico a Don Aramini ed il conseguente felice successo della serata.