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5 Luglio 2017 – Welfare, tra intervento pubblico e iniziativa privata

 

  “Welfare, tra intervento pubblico e iniziativa privata”

Relatore:  Prof. Luca Pesenti

 

Luca Pesenti è un sociologo e insegna “Soggetti, regole e strumenti del welfare” e “Sistemi di welfare comparati” nella Facoltà di Scienze Politiche e Sociali dell’Università Cattolica. Dopo un decennio di studi e analisi sulla riforma (im)possibile del welfare pubblico, negli ultimi anni ha orientato le proprie analisi sul crescente ruolo dei soggetti privati (profit e non profit) nella risposta ai bisogni delle persone. E con alcuni di questi soggetti ha costruito nel tempo solidi rapporti di collaborazione. Si occupa soprattutto di comprendere le dinamiche di sviluppo del welfare dentro le relazioni industriali, e da qui nasce il suo libro più recente: “Il welfare in azienda. Imprese smart e benessere dei lavoratori”, edito da Vita e Pensiero.

“To share”: perché condividere è il verbo giusto quando si parla di piccola e media impresa

Tutti ne parlano, ma pochi lo fanno davvero. Soprattutto tra i Piccoli. Il welfare in azienda è questo: qualcosa di più di una moda, sicuramente, ma a conti fatti i numeri sono ancora relativamente piccoli. Su oltre 300mila PMI attive nel nostro Paese (escludendo dunque l’esercito dei 6 milioni di micro imprese), le stime ci dicono che quelle attive sul tema sono meno del 2%. Una goccia nel mare.

Proprio il piccolo imprenditore sembra essere tagliato fuori da questa “rivoluzione gentile” con al centro le strategie di impresa per il governo delle risorse umane. Realisticamente possiamo pensare che non abbia molto tempo per occuparsene. È abituato a far quadrare i conti, a portare a casa il proprio business quotidiano. Eppure, a conti fatti farebbe bene ad approfondire l’argomento, perché il benessere dei lavoratori rappresenta un elemento centrale per l’impresa del futuro. Con un’avvertenza: da soli è maledettamente difficile raggiungere l’obiettivo. Bisogna fare squadra, mettersi insieme, creare connessioni virtuose. È tempo di sharing welfare, insomma.

Ma restiamo sulla domanda più importante: perché i Piccoli fanno così fatica a cogliere l’occasione del welfare in azienda? Le novità di legge avviate con la Legge di Stabilità 2016 e proseguite con la più recente Legge di Bilancio hanno in fondo rimosso i vincoli che avevano confinato i Piani di welfare nelle aziende di grandi dimensioni: multinazionali, banche, farmaceutiche. Resta però la necessità di un’organizzazione non banale del servizio, ma anche il costo di avviamento nel caso in cui si voglia acquistare il pacchetto completo da un provider di servizi. Ancora, mentre la legge garantisce un vantaggio fiscale ampio soprattutto là dove si innesta il Piano di welfare dentro un contratto aziendale, i Piccoli per definizione non hanno neppure i sindacati dentro le mura dell’impresa, e dunque non c’è nessun accordo da siglare, nessun premio di risultato da poter convertire in welfare.

Dunque, il Piccolo imprenditore cosa può fare? L’abbiamo detto: non deve stare da solo. Facile a dirsi, molto più difficile a farsi: anche perché, lo sappiamo, il piccolo capitano d’impresa tende per definizione a fare da sé, è lo spirito del capitalismo tipico delle nostre terre d’impresa. Tutto vero: eppure alcuni hanno cominciato a capire che to share è il verbo giusto per stare su un mercato sempre più competitivo e pieno di insidie.

Proviamo allora a guadare fuori dai recinti della solitudine imprenditoriale. Le reti, o meglio i cluster di imprese, cominciano a nascere qua e là. Tra le reti spontanee e autonome, il caso più noto è Giunca, nata nel profondo Nord (Tradate, nel Varesotto) con l’obiettivo anticiclico di un aumento di competitività per ciascuna della dozzina di aziende, prevalentemente del settore chimico, coinvolte in un momento di crisi. L’Unione Industriali ha fatto da facilitatore e ha aiutato a trovare gli strumenti: ne è nato un sistema di convenzioni a beneficio di tutti i dipendenti. Nel 2015 è invece nata a Brescia la rete Welstep, che ha messo insieme 13 imprese del settore metalmeccanico di dimensioni variabili (dai 216 dipendenti delle Rubinetterie Bresciane fino a piccole imprese sotto i 10 dipendenti), per un totale di 2.300 dipendenti. La rete si avvale di un portale che abilita alla scelta di tre tipi di benefit (a convenzione, a rimborso, di svago), i dipendenti scelgono e si impegnano a tenere basso (sotto il 3%) il tasso d’assenteismo.

Poi ci sono i servizi di welfare messi a disposizioni dalle Associazioni datoriali, tra cui la più attiva è Confindustria con un servizio nazionale che agevola la nascita di reti (RetImpresa), e un crescente attivismo di molte sedi territoriali (prevalentemente al Nord) che propongono pacchetti di welfare e servizi consulenziali di supporto per i propri associati. E se proprio si fa fatica a mettersi insieme ad altri, c’è un’ultima possibilità per le PMI: approfittare dell’accordo sottoscritto nel 2016 da Confindustria e i sindacati, finalizzato a permettere anche alle piccole imprese di introdurre il premio di risultato (convertibile in welfare) collegato a obiettivi di produttività aderendo a un accordo territoriale preesistente.

Funzioneranno queste strade per il welfare aziendale in condivisione? Siamo solo agli inizi, lo vedremo nei prossimi anni.

 

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