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12 Ottobre 2016 – S.E. Cardinal Renato Conti – AMORIS LAETITIA – riflessioni su Alcuni temi importanti

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S.E. Cardinal Renato Corti

“AMORIS LAETITIA”

Alcuni temi importanti

Busto Arsizio, UCID, 12 ottobre 2016

 Saluto voi tutti e mi dedico volentieri a esprimere un commento al testo importante di Papa Francesco sulla famiglia. Egli vorrebbe farvi visita in casa. Bussa alla vostra porta e desidera entrarvi. Gradirebbe sedersi con voi e con voi discorrere di un capitolo fondamentale per la vita della Chiesa e dell’intera società: la famiglia. lo ne sarò, in qualche modo, il portavoce. Attingerò, senza la pretesa di completezza, da qualche passaggio della Esortazione apostolica Amoris laetitia. Dopo qualche osservazione introduttiva, mi concentrerò su alcune questioni rilevanti. In chiusura esprimerò un duplice augurio.

Ricordo anzitutto quanto disse in apertura della prima sessione del Sinodo dei Vescovi dedicato alla realtà della famiglia. Egli si è dimostrato coraggioso, non impaurito o preliminarmente sulla difensiva. Ha suggerito: primo, ciascuno intervenga in Assemblea (costituita da oltre 300persone provenienti da tutte le nazioni del mondo nelle quali esiste la Chiesa cattolica e vi è un episcopato), dicendo con sincerità quello che pensa e ritiene importante per considerare “preoccupazioni e domande” nelle famiglie del mondo; secondo, ciascun Vescovo (e altri invitati al Sinodo) ascolti con grande attenzione gli interventi degli altri fratelli: tutti possono imparare da tutti; terzo, si lasci al Papa di dire la parola conclusiva come successore di Pietro.

Nella Esortazione apostolica del 19 marzo 2016 scrive che le due sessioni del Sinodo gli hanno offerto “un prezioso poliedro” per la sua sintesi, comprendente ulteriori “considerazioni che possano orientare la riflessione, il dialogo, la prassi pastorale” (n. 4).

Il metodo è quello della “revisione di vita”, che comprende tre momenti: vedere, giudicare, agire. Sono dei verbi importanti anche al vostro livello professionale, e cioè quanto al modo di affrontare le vostre responsabilità imprenditoriali. L’uso che se ne fa a livello ecclesiale, compreso questo documento pontificio, mi fa pensare a alle indicazioni di metodo fatte proprie da una grande associazione cattolica nata nella seconda metà del secolo XIX e largamente presente in Italia (ma non solo) fino agli anni ’60-’70: l’Azione Cattolica. Esemplare, a questo riguardo (soprattutto in Belgio, Lussemburgo, Francia) la “Jeunesse ouvrière chrétienne”: gruppi di giovani lavoratori affrontavano momenti di riflessione su un determinato problema seguendo la pista qualificata dai verbi che ho ricordato. Il primo chiede la precisazione dei dati di fatto importanti per essere aderenti alla realtà; il secondo chiede che si interroghi il Vangelo come criterio di fondo e originale per un gruppo di cristiani che riconosce in Gesù il Maestro dentro il contesto delle responsabilità quotidiane: “Lampada ai miei passi è la tua Parola, luce sul mio cammino”; il terzo verbo chiede una decisione concreta personale e di gruppo sul capitolo all’ordine del giorno.

L’Es. ap. si dedica al “vedere”, in maniera indiretta, lungo l’intero documento e, in maniera esplicita, nel capitolo secondo: “La realtà e le sfide della famiglia”.

Quanto al “giudicare”, trova spazio già nel capitolo primo: “Alla luce della Parola”, commentando un breve salmo biblico; e inoltre, nel capitolo terzo: “lo sguardo rivolto a Gesù (la vocazione della famiglia)”; nella prima parte del capitolo quarto dove si commenta 1Corinti 13, detto “inno alla carità”; nel breve capitolo nono: “Spiritualità coniugale e familiare”.

Quanto ali ‘” agire”, se ne parla nel capitolo quarto, seconda parte, su “L’amore nel matrimonio”; nel capitolo quinto su “L’amore che diventa fecondo”; nel capitolo sesto su “Alcune prospettive pastorali”, offerte alle nostre parrocchie e ai sacerdoti nell’ esercizio del loro ministero: “annunciare il Vangelo della famiglia oggi; (guidare i fidanzati nel cammino di preparazione al matrimonio; accompagnare nei primi anni della vita matrimoniale; rischiarare crisi, angosce e difficoltà; quando la morte pianta il suo pungiglione); nel capitolo settimo su “Rafforzare l’educazione dei figli”; nel capitolo ottavo su “Accompagnare, discernere e integrare la fragilità” (con particolare rilevanza data alla richiesta di discernimento.

L’Es. ap. è da leggere tenendo conto che è firmata da un Papa non europeo: è il primo Papa latino-americano; è il primo Papa ‘figlio’ (non ‘padre’) del Concilio Vaticano Il. Egli è persuaso che “nella Chiesa è necessaria una unità di dottrina e di prassi, ma ciò non impedisce che esistano diversi modi di interpretare alcuni aspetti della dottrina e alcune conseguenze che da essa derivano”. Aggiunge che “in ogni Paese o Regione si possono cercare soluzioni più incultura te, attente alle tradizioni e alle sfide locali” (n. 5).

Non è una novità. Se ne parla con ampiezza nella Costituzione pastorale, Gaudium et spes al n. 44. il Concilio mette in evidenza che “la Chiesa ha particolarmente bisogno di coloro che, vivendo nel mondo, sono esperti delle varie istituzioni e discipline, e ne capiscono la mentalità, si tratti di credenti o non credenti. Pastori e teologi, con l’aiuto dello Spirito Santo, devono ascoltare attentamente, discernere e interpretare i vari modi di parlare del nostro tempo e di saperli giudicare alla luce della Parola di Dio, perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa essere presentata in forma più adatta” (n. 44/1461).

Il medesimo tema venne affrontato nel 1990 da Giovanni Paolo II nell’Enciclica Redemptoris missio. Si rivolge ai Vescovi e si affida ai missionari, i quali” devono inserirsi nel mondo socio-culturale di coloro ai quali sono mandati superando i condizionamenti del proprio ambiente di origine. Non si tratta certo di rinnegare la propria identità culturale, ma di comprendere, apprezzare, promuovere ed evangelizzare quella dell’ ambiente in cui operano e, quindi mettersi in grado di comunicare realmente con esso, assumendo uno stile di vita che sia segno della testimonianza evangelica e della solidarietà con la gente” (n. 53/1189-1190).

L’Es. ap. Amoris Laetitia riprende queste osservazioni – importanti e delicate – di carattere generale come significative anche per il capitolo specifico della famiglia. il Papa intende l’insieme del documento “come una proposta per le famiglie cristiane, che le stimoli a stimare i doni del matrimonio e della famiglia, e a mantenere un amore forte e pieno di valori quali la generosità, l’impegno, la fedeltà e la pazienza”. Lo intende anche come “incoraggiamento per tutti ad essere segni di misericordia e di vicinanza lì dove la vita familiare non si realizza perfettamente o non si svolge con pace e gioia” (n. 5).

“L’AMORE NEL TEMPO” (Es. ap. cap., IV)

Ho trovato particolarmente stimolanti le pagine dedicate alla trasformazione dell’amore nelle varie stagioni della vita. Scrive dunque Papa Francesco: “Il prolungarsi della vita fa sì che si verifichi qualcosa che non era comune in altri tempi: la relazione intima e la reciproca appartenenza devono conservarsi per quattro, cinque o sei decenni, e questo comporta la necessità di ritornare a scegliersi a più riprese. “Forse il coniuge non è più attratto da un desiderio sessuale intenso che lo muova verso l’altra persona, però sente il piacere di appartenerle e che essa gli appartenga, di sapere che non è solo, di aver un “complice” che conosce tutto della sua vita e della sua storia e che condivide tutto. È il compagno nel cammino della vita con cui si possono affrontare le difficoltà e godere le cose belle. Anche questo genera una soddisfazione che accompagna il desiderio proprio dell’amore coniugale.

“Non possiamo prometterei di avere gli stessi sentimenti per tutta la vita. Ma possiamo certamente avere un progetto comune stabile, impegnarci ad amarci e a vivere uniti finché la morte non ci separi, e vivere sempre una ricca intimità. L’amore che ci promettiamo supera ogni emozione, sentimento o stato d’animo, sebbene possa includerli.

È un voler bene più profondo, con una decisione del cuore che coinvolge tutta l’esistenza.

“Così, in mezzo ad un conflitto non risolto, e benché molti sentimenti confusi si aggirino nel cuore, si mantiene viva ogni giorno la decisione di amare, di appartenersi, di condividere la vita intera e di continuare ad amarsi e perdonarsi. Ciascuno dei due compie un cammino di crescita e di cambiamento personale. Nel corso di tale cammino, l’amore celebra ogni passo e ogni nuova tappa” (n. 163).

“Si tratta dunque “del cammino di costruirsi giorno per giorno. Ma nulla di questo è possibile se non si invoca lo Spirito Santo, se non si grida ogni giorno chiedendo la sua grazia, se non si cerca la sua forza soprannaturale, se non gli si richiede ansiosamente che effonda il suo fuoco sopra il nostro amore per rafforzarlo, orientarlo e trasformarlo in ogni nuova situazione” (164).

NON TEMERE DI ANDARE CONTRO CORRENTE (Es. ap., cap. II)

Si ricordano poi “luci e ombre, mentre è in atto un cambiamento antropologico-culturale che influenza tutti gli aspetti della vita”. In maniera particolare siamo invitati a considerare “l’individualismo esasperato che snatura i legami familiari e finisce per considerare ogni componente della famiglia come un’isola” (cfr nn. 33-34).

Non ci deve sfuggire l’osservazione di fondo a cui qui si allude: “Come cristiani non possiamo rinunciare a proporre il matrimonio allo scopo di non contraddire la sensibilità attuale, per essere alla moda o per sentimento di inferiorità di fronte al degrado morale e umano”. Ma ciò non basta: “Fermarsi a una denuncia retorica dei mali attuali è illusorio; “neppure servirebbe pretendere di “imporre norme con la forza dell’autorità”. Ci è chiesto uno sforzo più responsabile e generoso, che consiste nel presentare “le ragioni e le motivazioni” per optare in favore del matrimonio e della famiglia. Ai nn. 37-38 si offrono delle precisazioni, sia in senso autocritico che in senso positivo, a proposito della Chiesa.

Autocritica: fine unitivo rimasto in ombra; scarso accompagnamento dei giovani sposi; maggiore attenzione a orari, linguaggi, preoccupazioni concrete dei giovani sposi; astrattezza nel presentare l’ideale teologico del matrimonio e poco riferimento alla risorsa della grazia divina; difficoltà a presentare il matrimonio come un cammino dinamico di crescita e realizzazione e non come un peso da sopportare per tutta la vita; errato approccio alla coscienza di ognuno: si tratta di formarla, non di sostituirla.

Aspetti positivi: gratitudine verso la Chiesa per l’offerta di spazi di accompagnamento; per la forza della grazia che si incontra nei sacramenti, in particolare quello del Matrimonio (confronta, per esempio il n. 213): si è veramente aiutati ad affrontare le sfide; per la testimonianza offerta da coniugi che portano avanti un progetto comune e conservano vivo l’affetto.

“RAFFORZARE L’EDUCAZIONE DEI FIGLI” (adolescenti e giovani; Es. ap., cap. VII)

Colpisce il primo sottotitolo. E’ una domanda un po’ cruda: “Dove sono i figli?”. E colpisce il fatto che si riferisca a coloro che organizzano il tempo libero dei giovani (cfr n. 260). Chiarisce che la risposta da dare alla domanda da lui posta non chiede ai genitori di essere” ossessivi”. Quello che occorre è altro. Viene indicato con termini forse non immediatamente comprensibili. Afferma la necessità di “generare processi di maturazione della libertà, di crescita integrale, di autonomia autentica” (n. 261) e offre con ampiezza una descrizione del lavoro educativo. Ne riprendo qualche elemento.

A questo riguardo, si ritiene fondamentale che i figli possano” credere che i propri genitori sono degni di fiducia (n.263). Si aggiunge che “la formazione morale dovrebbe realizzarsi sempre con metodi attivi e con un dialogo educativo che coinvolga la sensibilità e il linguaggio proprio dei figli” (n. 265). E ancora, che già nella fanciullezza “è necessario maturare delle abitudini”: esse “hanno una funzione positiva, permettendo che i grandi valori si traducano in comportamenti esterni sani e stabili”(n.266). Con realismo, si pone in evidenza che “la libertà è qualcosa di grandioso, ma possiamo perderla. L’educazione morale è un coltivare la libertà mediante proposte, motivazioni, applicazioni pratiche, stimoli, premi, esempi, modelli, riflessioni, esortazioni, revisioni del modo di agire e dialoghi che aiutino le persone a sviluppare quei princìpi interiori stabili che possono muovere a compiere spontaneamente il bene” (n.267).

Se nei tempi andati era normale la correzione, non così oggi. Ma non si cresce con le caramelle: “E’ indispensabile sensibilizzare il bambino e l’adolescente affinché si renda conto che le cattive azioni hanno delle conseguenze” (n.268). “Un bambino corretto con amore si sente considerato, percepisce che è qualcuno, avverte che i suoi genitori riconoscono le sue potenzialità”.

Viene citato l’apostolo Paolo: “Padri, non esasperate i vostri figli” (Ef 6,4; n. 269s) e si usano termini piuttosto esigenti nei confronti dei genitori: “La formazione etica a volte provoca disprezzo dovute a esperienze di abbandono, di delusione, di carenza affettiva, o ad una cattiva immagine dei genitori. Si proiettano sui valori etici le immagini distorte delle figure del padre e della madre, o le debolezze degli adulti” (n. 272).

Il Papa non sottovaluta la rivoluzione digitale. Scrive che “nell’ambito familiare si può anche imparare a discernere in modo critico i messaggi dei vari mezzi di comunicazione” (n.274). Segue un’osservazione meritevole di approfondimento sulla velocità digitale e quella dei vari ambiti di vita: “Compito importantissimo delle famiglie è educare alla capacità di attendere. Non si tratta di proibire ai ragazzi di giocare con i dispositivi elettronici, ma di trovare il modo di generare in loro la capacità di differenziare le diverse logiche e di non applicare la velocità digitale a ogni ambito di vita”. Ha inoltre premura di dire con chiarezza che i mezzi elettronici “non sostituiscono la necessità del dialogo più personale e profondo che richiede contatto fisico, o almeno, la voce dell’altra persona” (cfr nn. 274 – 278).

Al n. 280 c’è un altro sottotitolo al quale il Papa dedica ampio spazio: “Sì all’educazione sessuale” Da notare quel “sì”, non casuale e, verrebbe da dire, coraggioso: Ma è pure da avvertibile che ciò di cui parla è per lui anche motivo di preoccupazione circa il cammino degli adolescenti e dei giovani (cfr nn. 280 – 286).

Chiede che venga offerta in maniera “positiva e prudente”; sottolinea il rischio di “banalizzare e impoverire la sessualità” (n. 280); fa riferimento alla “pornografia senza controllo” e al “sovraccarico di stimoli che possono mutilare la sessualità” (n. 281).

Per quanto riguarda gli educatori, afferma la necessità di “un nuovo e più adeguato linguaggio, già a cominciare dai bambini”. Apre una riflessione di grande peso sul valore del “pudore”, favorevole alla “interiorità della persona” (n. 282).

Giudica negativo intendere e proporre la sessualità cercando di proteggersi nel senso del fare “sesso sicuro”. Questo sarebbe “narcisismo” che conduce a “giocare con il proprio corpo” e a utilizzare l’altro o l’altra come “oggetto” (n. 283).

Papa Francesco invita, infine, a “non ingannare i giovani” e a proporre loro un “paziente apprendistato”. E lamenta: “Chi oggi parla di queste cose?” (n. 284).

“SITUAZIONI DIFFICILI, DISCERNIMENTO ADEGUATO, SCELTE CONCRETE”

(Es. ap., cap. VIII)

Riferendosi ai divorziati risposati si dice, come premessa, che occorre “un adeguato discernimento personale e pastorale”. Si notino i due aggettivi, ritenuti evidentemente complementari per un buon discernimento. Il primo dice l’importanza del coinvolgimento della coscienza degli interessati; il secondo afferma la necessità del confronto con i pastori. Vengono poi presi in esame due casi molto diversi.

Una cosa – si dice – “è una seconda unione consolidata nel tempo, con nuovi figli, con provata fedeltà, dedizione generosa, impegno cristiano, consapevolezza della irregolarità della propria situazione e grande difficoltà a tornare indietro senza sentire in coscienza che si cadrebbe in nuove colpe”. O ancora, “il caso di quanti hanno fatto grandi sforzi per salvare il primo matrimonio e hanno subito un abbandono ingiusto, o quello di coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido. Altra cosa invece è una nuova unione che viene da un recente divorzio … , o la situazione di qualcuno che ha ripetutamente mancato ai suoi impegni familiari”

Si sottolinea che “il discernimento dei pastori deve sempre farsi distinguendo adeguatamente” i casi, consapevoli peraltro che non esistono semplici ricette” (n. 298). Questa notazione dice apertamente quanta saggezza sia richiesta ai presbiteri: una virtù che non si improvvisa e che va costantemente coltivata obbedendo alle esigenze del ministero. Immaturità o superficialità o distrazione dicono sordità dove occorre un buon udito o cecità dove si è chiamati a mettere bene a fuoco i problemi.

Fatte le distinzioni necessarie, che succede? La proposta del Papa suona, seconda la mentalità largamente diffusa nelle nostre comunità, come una novità difficile da accettare.

Eccola: «I battezzati che sono divorziati e risposati civilmente devono essere più integrati nelle comunità cristiane nei diversi modi possibili, evitando ogni occasione di scandalo”. La strada è chiaramente indicata. Sono evidenziate due cautele: “nei modi possibili” ed “evitando lo scandalo”. Quali sono i modi possibili? La risposta: “La loro partecipazione può esprimersi in diversi servizi ecclesiali: occorre perciò discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate”.

La risposta appare generica. Occorre un discernimento comunitario non facile da condurre per i tempi e i modi. Sarebbe pericoloso che ogni Parrocchia lo compisse per proprio conto. E’ la Diocesi stessa il luogo giusto per arrivare a scelte anche nuove in maniera largamente condivisa per l’appoggio garantito dal Vescovo stesso.

Ma vi è qualcosa di molto rilevante da far conoscere ai membri della comunità cristiana e da fare primariamente intendere ai divorziati risposati: “Essi non solo non devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa, sentendola come una madre che li accoglie sempre, si prende cura di loro con affetto e li incoraggia nel cammino della vita e del Vangelo”.

Si completa il quadro dicendo molto opportunamente: “Questa integrazione è necessaria pure per la cura e l’educazione cristiana dei loro figli, che debbono essere considerati i più importanti» (n. 299). Viene così in primo piano una motivazione che potrebbe sfuggire. In questione non sono soltanto gli adulti. Occorre pensare ai bambini. Le scelte dei genitori non devono pesare indebitamente su di loro. La vicinanza della Chiesa ai genitori comprende la scelta di una premura da esprimere nei confronti dei loro figli (cfr n. 399).

Dunque, dice Papa Francesco, “«in determinate circostanze le persone trovano grandi difficoltà ad agire in modo diverso. [.. .]. Il discernimento pastorale, pur tenendo conto della coscienza rettamente formata delle persone, deve farsi carico di queste situazioni. Anche le conseguenze degli atti compiuti non sono necessariamente le stesse in tutti i casi»” (nn. 301-302).

Il Papa non parla apertamente dell’Eucaristia, ma nella nota 336 (al n. 300) fa riferimento alla disciplina sacramentale dicendo che l’attenzione sopra ricordata è necessaria anche su questo fronte “quando il discernimento può riconoscere che in una situazione particolare non c’è colpa grave” (cfr Evangelii gaudium, 44.47).

E poi al n. 305, si legge: “A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa crescere nella vita di grazia, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa”.

A questo punto troviamo una nota importante. È la 351. Afferma che l’aiuto della Chiesa, potrebbe essere espresso, in certi casi, anche a livello dei Sacramenti. Di qui un duplice invito: i confessori si interpretino come “ministri della misericordia”; si ricordi sempre che l’Eucaristia, “non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli” (cfr Evangelii gaudium, 47).

Il Papa invita “i fedeli che stanno vivendo situazioni complesse ad accostarsi con fiducia a un colloquio con i loro pastori o con laici che vivono dediti al Signore. Non sempre troveranno in essi una conferma delle proprie idee e dei propri desideri, ma sicuramente riceveranno una luce che permetterà loro di comprendere meglio quello che sta succedendo e potranno scoprire un cammino di maturazione personale”. E invita i pastori ad “ascoltare con affetto e serenità, con il desiderio sincero di entrare nel cuore del dramma delle persone e di comprendere il loro punto di vista, per aiutarle a vivere meglio e a riconoscere il loro posto nella Chiesa” (n.312).

UN DUPLICE AUGURIO

“AMARE SIGNIFICA RENDERSI AMABILI” (Es. ap., cap. IV)

L’amabilità mette in evidenza che il linguaggio “dell’ amore non opera in maniera rude, non agisce in modo scortese, non è duro nel tratto. I suoi modi, le sue parole, i suoi gesti, sono gradevoli e non aspri o rigidi. L’amabilità detesta far soffrire gli altri”. Naturalmente ognuno deve fare i conti con se stesso, con il proprio carattere e anche con le circostanze che deve affrontare. A volte, sono molto urtanti e rendono difficile praticare l’amabilità.

Proprio per questi ed altri motivi l’amabilità va coltivata giorno per giorno e dobbiamo mettere in conto che essa richiede premura lungo tutta la vita. Chiede, in modo speciale, “che si impari ad ascoltare, a parlare e in certi momenti a tacere». D’altra parte – dice il Papa – “essere amabile non è uno stile che un cristiano possa scegliere o rifiutare”. Non è così perché, in realtà, fa: “parte delle esigenze irrinunciabili dell’amore, perciò «ogni essere umano è tenuto ad essere affabile con quelli che lo circondano»”.

Sappiamo bene, anche dalle cronache quotidiane, quanti esseri umani non godano affatto della bellezza dell’amabilità e conoscano invece le bastonate impietose di chi è violento nei confronti sia del corpo che dell’ anima, nei confronti di una singola persona o di un’intera famiglia per motivi politici, culturali o anche religiosi.

Scavando nel tema, il Papa ci ricorda che “l’amore, quanto più è intimo e profondo, tanto più esige il rispetto della libertà e la capacità di attendere che l’altro apra la porta del suo cuore”. Mi pare poi vero che “”Uno sguardo amabile ci permette di non soffermarci molto sui limiti dell’altro” e di avere invece il desiderio di “unirei in unprogetto comune, anche se siamo differenti”.

L’esperienza infatti ci insegna che “L’amore amabile genera vincoli, coltiva legami e, andando anche oltre l’ambito della propria famiglia, “crea nuove reti d’integrazione, costruisce una solida trama sociale”, ad esempio nell’ambiente di lavoro. Al contrario, in “una persona antisociale”, che si mette al centro del mondo, “non c’è spazio per l’amabilità dell’amore e del suo linguaggio” (n. 100).

L’ “HAGGADAH”: LA FEDE CHE, IN FAMIGLIA, DIVENTA RACCONTO (Es. ap., cap. I)

Ho trovato bellissimo il primo capitolo (nn. 9-30). E’ biblico dal principio alla fine. E’ guidato dal Salmo 128 (1-6). E’ utile notare i titoletti che ne indicano la trama:

  • “Tu e la tua sposa”;
  • “I tuoi figli come virgulto di olivo”;
  • “Un sentiero di sofferenza e di sangue”;
  • “La fatica delle tue mani”;
  • “La tenerezza dell’abbraccio”.

Al n. 22 il Papa osserva che in questo breve capitolo “la Parola di Dio non si mostra come una sequenza di tesi astratte, bensì come una compagna di viaggio anche per le famiglie che sono in crisi o attraversano qualche dolore, e indica loro la meta del cammino, quando ‘Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno” (Ap 21,4).

Mi soffermo sulla parte dedicata ai figli (nn. 14-18).Si legge che “la famiglia è il luogo dove i genitori diventano i primi maestri della fede dei loro figli”. Si aggiunge che si tratta di “un compito ‘artigianale’, da persona a persona” (n.16): termini che non dicono organizzazione, ma relazione diretta (cfr Es 13,14;Sal 148,12).E’ ciò che peraltro è avvenuto nei primi secoli cristiani: la Chiesa era ‘domestica’. Nel libro degli Atti si ricorda la casa di Lidia, nella città di Filippi. Questa donna, che aveva accolto il dono della fede ascoltando Paolo sulla riva del fiume, lo invita a casa sua. Paolo accetta (cfr At 16,14-15;cfr AL,15; cfr LG, 11/314).).

Risalendo all’Antico Testamento, Papa Francesco rievoca la “haggadah giudaica” Si tratta della “narrazione dialogica che accompagna il rito della cena pasquale. Un Salmo esalta l’annuncio familiare della fede: ‘Ciò che abbiamo udito e conosciuto e i nostri padri ci hanno raccontato non lo terremo nascosto ai nostri figli, raccontando alla generazione futura le azioni gloriose e potenti del Signore e le meraviglie che egli ha compiuto'” (Sal 78,3-6;AL,16).

Esperienza bellissima che suggerisce alle famiglie cristiane di oggi, in particolare ai genitori (aggiungerei anche i nonni), un compito analogo. Ecco la strada giusta da seguire da parte nostra. Essa viene sperimentata in varie parti del mondo dove i cristiani sono delle minoranze esigue che non dispongono di molti strumenti, ma trovano l’essenziale: la testimonianza offerta in famiglia, la partecipazione ai momenti più significativi per la vita della comunità. In questo modo la fede permane nel tempo, anzi nei secoli, di generazione in generazione, pure in mezzo a mille difficoltà. Il mio pensiero va, in particolare, alla Chiesa di Sarajevo (Bosnia Erzegovina) e al suo pastore, cardo Vinko Pulijc. Mi verrebbe da dire: sono più avanti di noi!

SCAMBIO

Sarebbe bello, a questo punto, ascoltare il contributo di qualcuno dei presenti, soprattutto sui quattro aspetti brevemente illustrati nel mio intervento.

… Segue ampio dibattito in sala

 

 

 

 

 

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